Coronavirus: Veneto e Lombardia, due modelli di sanità e un dibattito da aprire
A ormai un mese dall’inizio del “lockdown” italiano per il Coronavirus, mentre il leader della Lega Matteo Salvini invoca la riapertura delle chiese, il governatore lombardo Attilio Fontana, pure lui del Carroccio, impone ai cittadini della sua regione, la più colpita dal Covid-19 con oltre 9mila morti, l’uscita di casa muniti di mascherina protettiva d’ordinanza.C’è chi ha giustamente elogiato questa scelta, così come la costruzione in tempi record dell’ospedale situato in Fiera Milano, ennesimo e strabiliante successo da annoverare per un territorio che ha sempre fatto dell’eccellenza sanitaria la propria bandiera. Tuttavia, relativamente alla gestione della pandemia, c’è chi è stato meno generoso con la regione simbolo dell’Italia produttiva. Si tratta della prestigiosa rivista Harvard Business Review, edita dall’omonima università americana, che in un articolo dal titolo “Lessons from Italy’s Response to Coronavirus”, ha comparato le scelte adottate dalla Giunta regionale lombarda con quelle di un’altra regione governata dal medesimo schieramento politico: il Veneto del “doge” leghista Luca Zaia.
“La Lombardia – dice l’articolo in questione – una delle aree più ricche e produttive d’Europa, è stata colpita in modo sproporzionato da Covid-19. Al 26 marzo (data di stesura dell’articolo, nda), detiene il triste record di quasi 35.000 nuovi casi di coronavirus e 5.000 morti in una popolazione di 10 milioni. Il Veneto, al contrario, è andato molto meglio, con 7000 casi e 287 decessi in una popolazione di 5 milioni, nonostante all’inizio avesse assistito a una rapida diffusione del contagio nella comunità locale. I percorsi di queste due regioni sono stati indirizzati da una moltitudine di fattori al di fuori del controllo dei responsabili politici, tra cui la maggiore densità di popolazione della Lombardia e il maggior numero di casi quando è scoppiata la crisi. Ma sta diventando sempre più evidente che anche le diverse scelte di salute pubblica fatte all’inizio del ciclo della pandemia hanno avuto un impatto. In particolare, mentre la Lombardia e il Veneto hanno applicato approcci simili al distanziamento sociale e alle chiusure al dettaglio, il Veneto ha adottato un approccio molto più proattivo al contenimento del virus. La strategia veneta era articolata su più fronti: test approfonditi su casi sintomatici e asintomatici precoci; tracciamento proattivo di potenziali positivi. Se qualcuno è risultato positivo, sono stati testati tutti nella casa di quel paziente e anche i suoi vicini. Se i kit di test non erano disponibili, tutti sono stati messi in quarantena; una forte enfasi sulla diagnosi e l’assistenza domiciliare. Ove possibile, i campioni sono stati raccolti direttamente dalla casa di un paziente e quindi elaborati nei laboratori universitari regionali e locali; sforzi specifici per monitorare e proteggere l’assistenza sanitaria e altri lavoratori essenziali, inclusi i professionisti del settore medico, quelli in contatto con popolazioni a rischio (ad es. operatori sanitari nelle case di cura) e lavoratori esposti al pubblico (ad es. cassieri di supermercati, farmacisti e personale dei servizi di protezione). Seguendo le indicazioni delle autorità sanitarie del governo centrale, la Lombardia ha optato invece per un approccio più conservativo riguardo ai test. Su base pro capite, finora ha eseguito la metà dei tamponi condotti in Veneto e si è concentrata molto più solo sui casi sintomatici(…). Si ritiene che l’insieme delle politiche attuate in Veneto abbia notevolmente ridotto l’onere per gli ospedali e ridotto al minimo il rischio di diffusione di Covid-19 nelle strutture mediche, un problema che ha avuto un forte impatto sugli ospedali lombardi”.
Un’analisi, quella della rivista dell’università di Harvard, condivisa anche da Giorgio Palù, virologo e consulente proprio del governatore del Veneto, Luca Zaia. “La Lombardia -ha detto Palù – ha toccato un tasso di letalità del 14% mentre il Veneto è sotto il 5%. Questi sono numeri, ma sono anche due realtà diverse da studiare sotto il profilo demografico, come assetto sociale urbanistico e dimensione iniziale del contagio. Il Veneto ha ancora una cultura e una tradizione della Sanità pubblica, con presidi diffusi sul territorio. La Lombardia, molto meno”. In Lombardia, ha detto ancora Palù, “hanno ricoverato tutti, esaurendo ben presto i posti letto. Il 60% dei casi confermati. In Veneto, i medici di base e i Servizi d’igiene delle Asl hanno fatto filtro: solo il 20%. Tenendo a casa i positivi asintomatici si è evitato l’affollamento degli ospedali e la diffusione del contagio”.
E anche negli ambienti culturali della destra e filo-leghisti si iniziano a fare i paragoni, senza peli sulla lingua. Un caso, per esempio, è quello di Fabrizio Fratus, sociologo e fondatore, con l’europarlamentare Vincenzo Sofo, del think tank Il Talebano. “È incredibile – ha scritto il sociologo sul proprio profilo Facebook – come Fontana continui a fare la guerra con il Governo quando il disastro sanitario è stato creato in Lombardia con sbagli che ormai sono verificabili, da Codogno i malati furono portati negli ospedali delle province vicine senza gli opportuni accorgimenti. Vogliamo in Lombardia un presidente come Zaia. La sanità aziendale lombarda ha fallito…”.
Due modelli di gestione della sanità d’eccellenza a confronto dunque, quello veneto e quello lombardo. Due regioni governate dal centrodestra, dalla Lega. Chi avrà avuto ragione? Per dare una risposta è necessario che il dibattito sulla questione non si esaurisca con l’emergenza, ma continui anche in seguito. Perché la salute, come gli italiani hanno purtroppo appreso in queste ultime e folli settimane, è davvero il bene più prezioso.
di Cristiano Puglisi
Originale dell’articolo qui