Dare valore alla tradizione

Autore: - Sezione: Cultura
Dare valore alla tradizione

Nonostante stiamo vivendo ormai appieno il XXI secolo, quante volte abbiamo ascoltato o ci siamo trovati noi stessi a dire che bisogna ritrovare le radici, valorizzare le nostre tradizioni, salvaguardare il nostro passato. Sebbene la globalizzazione faccia sì che sia possibile trovare qualunque cosa in qualunque posto, non bisogna guardare a questo con negatività, ma piuttosto bisognerebbe sfruttarlo a nostro favore. “E come?”, vi chiederete.
Bene, prendiamo come esempio un settore cardine della nostra economia, quello agro-alimentare. L’Europa è il principale produttore mondiale di alimenti e cibi cosiddetti tradizionali, comprendendo in questa accezione non solo i prodotti a denominazione d’origine (DOP, IGP, DOC, ecc.), ma anche tutti quei prodotti che, pur non avendo una certificazione, rappresentano il Paese d’origine per la loro storia, perché sono presenti sul mercato e sulle tavole da almeno 50 anni, e perché gli ingredienti e/o la ricetta sono tipiche di un certo Paese, regione o territorio (ad esempio, la pasta per l’Italia).
Il settore dei prodotti alimentari tradizionali è costituito principalmente da piccole e medie imprese (PMI) che rappresentano più del 90% del totale delle imprese e circa il 70% della forza lavoro nell’industria alimentare europea. Questi dati si riflettono un po’ in tutti i Paesi della Comunità, ma è sull’Italia che vorrei puntare l’obiettivo. Nel nostro Paese più del 90% delle imprese agro-alimentari ha meno di 10 addetti, sono per lo più imprese a conduzione familiare, che si trovano ad operare sul mercato, strette in una morsa composta da poche grandi imprese multinazionali e dalla grande distribuzione organizzata che ha il coltello dalla parte del manico in quanto a potere contrattuale.

La maggior parte di queste imprese produce alimenti tradizionali, quelli cioè che dovrebbero essere valorizzati sia nel mercato interno che nel mondo, affinché il made in Italy alimentare sia sempre più riconosciuto e costituisca una voce portante del nostro bilancio.
Ho avuto la fortuna, in quanto ricercatrice presso il Dipartimento di Economia Agraria, Agroalimentare e Ambientale dell’Università degli Studi di Milano, di lavorare per quattro anni su un interessante progetto della Commissione Europea, denominato “Truefood” (www.truefood.eu), che aveva come obiettivo proprio quello di aumentare la competitività del settore alimentare tradizionale attraverso diversi strumenti tra cui il miglioramento delle capacità di marketing delle PMI, argomento sul quale ho svolto le mie ricerche in questi anni. Il progetto sta ormai volgendo al termine ed è quindi giunto il momento di trarre delle conclusioni.

La realtà con cui mi sono scontrata è quanto mai variegata, confrontando le performance dei diversi Paesi europei, ma, restringendo il cerchio sull’Italia, posso affermare che possediamo un patrimonio sconfinato di piccole e piccolissime imprese che si sforzano di stare sul mercato puntando su eccellenze uniche al mondo e che per questo andrebbero valorizzate. Purtroppo però queste imprese trovano ancora molto difficoltoso puntare, per esempio, sull’investimento in termini di marketing a causa, nella maggioranza dei casi, della scarsità di risorse, le quali vengono destinate ad altre attività, pensando che la promozione, la pubblicità o altre azioni di marketing siano solo accessorie. Nelle PMI italiane è ancora fortemente radicato un orientamento al prodotto e non al mercato. Tuttavia, è necessario guardare alle esigenze dei consumatori che cambiano continuamente, per riuscire ad adattare le strategie a ciò che il mercato è pronto ad assorbire. Questo è strettamente connesso anche all’innovazione, che per molti piccoli imprenditori è ancora una parola oscura, impossibile da attuare nei processi tradizionali. Niente di più falso. L’innovazione assume un ruolo rilevante per rafforzare la competitività delle PMI, in quanto il consumatore odierno ha sempre meno tempo, ma è ancora attento a quello che mette in tavola.
Quindi una soluzione potrebbe essere cercare di sviluppare tecnologie anche semplici per migliorare i prodotti e i processi e per permettere ai cittadini italiani, europei e non solo di gustare appieno la nostra tradizione alimentare che è una delle più antiche del mondo.