Il Medio Oriente, una questione locale di interesse globale
Questo breve saggio nasce come riflessione, figlia di alcune letture di articoli pubblicati su blog quali Formiche.net e un ciclo di incontri promossi dalla Scuola di cultura politica, presso la Casa della Cultura di Milano. Lo scopo principe di queste righe è aiutare a vederci chiaro, a calare la benda dagli occhi spesso causata dai mass media, ad andare oltre il sentito dire ed il pregiudizio. L’intento è quello di guidare a comprendere la notizia leggendo fra le righe, unendola a precedenti lette o ascoltate, per legare così il dispiegamento dei fatti scoprendo un senso compiuto. Questo è quanto è giusto fare se si vuol capire meglio cosa stia accadendo non troppo lontano da noi, in Medio Oriente, una questione locale, ma di interesse globale.
Per cominciare a fare chiarezza, si ricorda che islamico non vuol dire arabo. I principali paesi musulmani, professanti questa religione sono: Indonesia, Pakistan e Bangladesh. Di 1,8 miliardi di islamici, gli arabi musulmani rappresentano 300 milioni di persone. Arabo non significa ignorante, se pensiamo ad alchimia, algebra e algoritmo, sono tutte parole di derivazione araba. Chi pensa che non esista una cultura in Medio Oriente, dovrebbe ricordarsi personaggi storici come Averroè, Avicenna e Saladino, per non parlare del fatto che il concetto di società civile provenga proprio dalla Mesopotamia e che molto dell’etica e della filosofia greca richiami dettami del pensiero arabo. I paesi Musulmani non sono luoghi dell’orrore, si pensi a Tunisia, Egitto, Oman e Iran. Per concludere l’introduzione, non resta che il Corano, libro Sacro, testo religioso e come tale apolitico.
Il secondo doveroso passo da compiersi per comprendere i fatti contemporanei consiste nell’osservare la carta geografica. Tensioni e guerra stanno riguardando soprattutto una cospicua parte della Mesopotamia: l’Iraq e la Siria, paesi in cui gli estremisti islamici stanno cercando di dare vita ad uno stato che li rappresenti: l’ISIS. Non è dunque un movimento, è un’area, una terra, una nuova entità geopolitica creata dall’avanzata delle milizie integraliste, che profittano della rovina della Siria e della debolezza dell’Iraq essendo stato spodestato il precedente regime di Saddam Hussein. Il tentativo è quello di ripristinare il califfato, che, politicamente, significa riconoscere in un’unica figura sia il potere religioso che quello temporale, andando a generare una forma di governo teocratico. Il movimento è invece la Jihad, secondo cui occorra “fare il massimo sforzo” per riaffermare un Islam puro, che possa essere professato, secondo il volere del Profeta Maometto, per mano di un discendente diretto, appunto il califfo, polo aggregatore dell’integralismo islamico.
Perché chiamarla “questione islamica”? Perché il discendente diretto del Profeta Maometto oggi potrebbe essere uno Sciita, un Sunnita o un Curdo, le diverse diramazioni di “Credo locale” della medesima religione. Questo rappresenta il problema, il fatto che in Iraq e Siria sciiti, sunniti e curdi stiano scagliandosi gli uni con gli altri per la determinazione della continuità della Dawla, la dinastia regnante. Tale motivo genera guerre, lotte intestine fra etnie, genocidi di intere tribù e deportazioni di famiglie. Perché dunque questa questione locale dovrebbe interessare Occidente e Oriente diventando globale? Oltre al fatto che sia un dramma umano, La risposta a ragion veduta dell’internazionalità è da cercarsi scorrendo all’indietro il libro di Storia, fermando il dito indice all’anno 1916, in cui venne firmato un documento fra il britannico Sykes ed il francese Picot. Secondo l’accordo Sykes-Picot sull’Asia Minore, Regno Unito e Francia, con assenso della Russia, definirono le rispettive sfere di influenza nel Medio Oriente, a valle della sconfitta dell’impero ottomano nella prima guerra mondiale riuscita grazie agli arabi guidati dal nobile Faysal e dall’ufficiale inglese T.E.Lawrence.
Contrariamente alle aspettative arabe, per interessi di natura economica e politica, non fu creato uno Stato Arabo, ma vennero determinate luogotenenze occidentali sovraintese senza il pieno rispetto di usi e costumi, tradizione, cultura e credo dei popoli. Al Regno Unito fu assegnato il controllo delle zone comprendenti approssimativamente la Giordania, l’Iraq ed una piccola area intorno ad Haifa. Alla Francia, il controllo della zona sud-est della Turchia, la parte settentrionale dell’Iraq, la Siria ed il Libano. La zona che, successivamente, venne riconosciuta come Palestina, doveva essere destinata ad un’amministrazione internazionale coinvolgente l’ex impero russo.
Gli Stati così creati nella “Mezzaluna Fertile” da Gran Bretagna e Francia, però, non diedero vita a governi di unità nazionale e finirono per indebolirsi non riuscendo più a mantenere compagine fra i clan, le tribù e i gruppi etnici e religiosi. L’inasprimento del contrasto fra sciiti, sunniti e curdi prese il sopravvento e non fu dunque più solo di natura teologica, legato alle diverse interpretazioni del Corano, ma assunse connotati politici. Questo finì per alimentare violenza, rappresaglie e faide, una guerra armata che soverchiò il sistema vigente.
L’interrogativo sorge spontaneo: chi finanzia e arma le tribù? Diverse ipotesi possono scatenarsi in risposta a questa domanda. Le principali armi e mezzi di trasporto che vediamo in dotazione loro, sono di fabbricazione russa e americana, acquistate forse sul mercato nero grazie ai capitali probabilmente ottenuti dall’Arabia Saudita, da sempre principale supporter dei movimenti puristi islamici. Scempio e versamenti di sangue così alimentati li conosciamo bene.
Richiamando leggermente lo zoom dalla carta geografica, ci troviamo ad avere a che fare con tre grandi attori, forse i veri burattinai degli scontri in atto: Iran, Turchia ed Arabia Saudita. Cominciamo a guardare l’ultima. In Arabia Saudita è presente la forma di islamismo nota come più radicale, fortemente legato alla sfera politica a danno dell’equità sociale, in quanto promuovente schiavitù, cesaropapismo, clientelismo e piena sottomissione all’uomo della donna. La floridità economica dell’Arabia Saudita, legata all’oro nero, è ben chiara ai più così come il fatto che questa risorsa rappresenti tutt’oggi la base vitale dell’economia occidentale. I sauditi, custodi dei luoghi sacri dell’Islam, si sentono sfidati dall’appello all’unità fortemente promosso dall’Iran, per via della corrente di pensiero anzitempo generata dall’iraniano Khomeyni, potente ed influente Ayatollah (ovverosia esperto in studi islamici e conoscitore di giurisprudenza, filosofia e misticismo).
Ancor più, sempre i sauditi, temono la perdita di leadership nel Golfo Persico, dal momento che l’Iran potrebbe rafforzare la sua influenza in tutta la penisola arabica, dagli Houthi dello Yemen, all’Hezbollah in Libano e dalla Siria all’Iraq. Il rafforzamento dell’economia Iraniana del resto è già in corso, essendo un paese in cui ci sono tutte le premesse di un’industrializzazione con tecnologia d’importazione russa e americana, per altro già alimentata dall’ex premier Ahmadinejad, grazie alla matrice religiosa più moderata, alla maggiore equità sociale, al più alto livello di scolarizzazione universitaria paritaria, alla parziale indipendenza energetica nucleare e alla più consolidata infrastrutturazione urbana. È chiaro dunque come sia Arabia Saudita che Iran stiano contribuendo ad alimentare da parti opposte la rivolta in Siria ed Iraq.
E i turchi? Gli ottomani certamente non sono impassibili, soprattutto non è lieve la loro intolleranza nei confronti dei Curdi. La Turchia infatti, dal canto suo, ha dichiarato che non accetterà mai la costituzione di uno Stato o una regione autonoma curda in Siria, temendo il contagio autonomista in Anatolia. A questo proposito, dichiarando di voler soccorrere i profughi siriani, è stata colta l’occasione di mobilitare le truppe, con fare intimidatorio a Mossul, in Iraq, a minaccia del Kurdistan. I Turchi inoltre, compratori del petrolio di contrabbando a basso costo, proveniente dalla Siria, di fatto sono finanziatori della corsa alle armi.
Arriviamo alle alleanze. La Turchia gioca la carta filo europeista, i sauditi vanno a braccetto con gli Stati Uniti, forti del patto del greggio; L’Iran è vicino alla Russia, che ha tutto l’interesse a non inimicarsi il confinante, per via del gas sito nei giacimenti limitrofi che, un domani, potrebbe anche finire per essere massivamente venduto agli iraniani. Più nel dettaglio, per via dei famigerati trattati di Sykes e Picot, Francia e Inghilterra si sentono direttamente chiamate in causa in Siria e allora via ai bombardamenti per fermare i ribelli della stabilità, risposta a questo quanto accaduto a Parigi. E L’Italia? L’Italia per il momento sta dietro le quinte e si limita ad addestrare i Peshmerga Curdi e ad armare l’Arabia Saudita, per bombardare lo Yemen, cosa poco nota ai più, per far sì che correnti indipendentiste a favore dell’Iran non si diffondano eccessivamente. Si ricorda che l’influenza degli Emirati Arabi e dei Sauditi nell’economia Italiana non è banale essendo EXPO stato per buona parte finanziato direttamente da loro, la skyline di Milano comprata dal Qatar, la compagnia di bandiera del tricolore, fusa con Etihad, per non parlare di petrolio, ENI e quant’altro.
L’unico fattore di aggregazione ad una situazione tanto frammentata rimane l’Islam. Ma non è sufficiente data la sua divisione in sette contrapposte. La proposta del Califfato di costituire un impero transfrontaliero con uso della religione come paradigma ordinatore della frammentazione tribale a la “cuius regio eius religio” non sembrava essere tanto errata, ma è chiaro che la religione è un fattore che serve a creare consenso, a mobilitare le masse e a permettere le guerre commissionate fra l’Arabia Saudita e l’Iran, combattute in Iraq, Siria e Libano a danno di innocenti.
Visto l’intervento militare internazionale, è probabile che lo Stato Islamico venga annientato, ma i conflitti in corso continueranno, soprattutto se l’intenzione internazionale, per sedare la guerra, sia quella di ricalare dal cielo confini geografici e governi con istituzioni più o meno filo occidentali.
Che dire in conclusione, visto che le strade della mediazione e della diplomazia non vengono contemplate, visto che si vuol sempre metter a muro l’ONU con i suoi buoni intenti e visto che non si cerca di spronare i paesi moderati islamici ad imporsi contro il radicalismo, essendo succubi di meri interessi economici, largo alle bombe!