LE PRIVAZIONI DELLE LIBERTÀ, POSSIBILE BOMBA SOCIALE
Chiusi in casa. Isolati dal mondo esterno. Soffocati da un’informazione che ci propina costantemente terribili bollettini sul dilagare della pandemia. La vita degli italiani al tempo dell’emergenza coronavirus è questa. Come uscirne? Ma soprattutto, ne usciremo? E in che modo? Il Quotidiano del Sud ne ha parlato con Fabrizio Fratus, sociologo e giornalista, collaboratore di diversi giornali cartacei e digitali. Lombardo doc, gira spesso nel Meridione come conferenziere per presentare i suoi libri.
Nella storia si è mai verificata una situazione simile?
Non direi. Malgrado fosse molto più letale del coronavirus, nemmeno la peste a Milano, raccontata dal Manzoni nei “Promessi Sposi”, ha influito così tanto sulle abitudini della popolazione. All’epoca l’obbligo era quello di non uscire dalle città, non di non uscire di casa, infatti le strade erano popolate. Queste misure cui ci stanno sottoponendo sono davvero uniche nella storia.
Come cambierà la nostra socialità?
Si possono fare delle ipotesi. In media in Italia le persone vivono in 2/3 all’interno di 70/90mq. Stare chiusi per un lungo periodo – perché di lungo periodo si tratta – significa adattarsi a un microcosmo che inevitabilmente condizionerà le nostre abitudini. Quando potremo finalmente uscire, dovremo in alcuni casi avviare un processo di ri-socializzazione. E non sarà affatto un processo semplice.
Perché?
Il clima che si sta creando è di sfiducia verso il prossimo, di “sindrome dell’untore”. Ci vorrà del tempo prima che ci riapproprieremo di una clima sociale di normalità.
Possiamo sopperire a questa astinenza dalla socialità con i social?
Assolutamente no. Anzi, do un consiglio specifico: in questo periodo limitiamo il tempo passato su internet. Il 70% della comunicazione avviene con il corpo, dunque l’abitudine a comunicare virtualmente ci impedisce di saper leggere questo aspetto fondamentale della comunicazione tra persone reali. Piuttosto, è un altro il consiglio che sento di dare.
Prego…
Fare attività fisica in modo scadenzato, quotidiano: flessioni, distensioni, pesi. E poi una o due ore di attività creativa, come pitturare o cucinare, facendo così in modo che il cervello resti attivo. Mens sana in corpore sano.
A proposito di mente. Quanto sta incidendo la paura sui comportamenti sociali?
La paura è la protagonista. Questo virus è molto contagioso ma poco letale. Eppure la gente è spaventatissima. È l’effetto di un’informazione che da venti giorni parla solo di morte, un termine che prima di questa emergenza era un tabù, esorcizzato, escluso dal dibattito pubblico. Ci sono articoli di giornale, servizi tv che alimentano panico rendendo nella popolazione accettabile qualsiasi misura autoritaria.
Ma per quanto tempo le persone saranno disposte ad accettare queste privazioni della propria libertà?
Tutto verrà accettato fino a quando l’esasperazione non raggiungerà il culmine. A quel punto ci saranno inevitabilmente delle reazioni. E se lo Stato oggi non è in grado di curare i malati gravi di coronavirus, dubito che domani sarebbe capace di governare una popolazione riluttante a farsi rinchiudere in casa.
Prevede agitazioni?
È una possibilità. Ma dipende da quanto tempo dureranno queste misure.
Possiamo anche tornare indietro o è un punto di non ritorno?
Tutte e due le cose. Nei piccoli paesi, laddove la modernità è meno percepita, la vita potrà tornare come prima. Nei grandi centri urbani, invece, ci saranno delle ricadute pesanti. Penso alle tante attività commerciali costrette oggi a rimanere chiuse, che stanno dando un segnale di sfiducia agli imprenditori, i quali un domani saranno meno portati ad assumersi dei rischi d’impresa. Avremo dei grandi problemi economici. E questo scenario non fa che contribuire allo stato di panico diffuso.
Questo confinamento domiciliare sta già suscitando segnali di esasperazione tra le categorie psicologicamente più fragili?
Naturale conseguenza dell’isolamento sono stati, e sono, attacchi di ansia, panico e depressione. Se si procede verso una soluzione del coronavirus in modo generalizzato senza considerare gli altri danni che si vanno a contribuire a creare è un errore. Ritengo servano provvedimenti del governo mirati che tengano conto delle necessità di un giusto bilanciamento fra sicurezza relativa, libertà assoluta e rischi conseguenti.
ARTICOLO PUBBLICATO SU “IL QUOTIDIANO DEL SUD”