Oltre il pessimismo e l’ottimismo

Autore: - Sezione: Attualità
Oltre il pessimismo e l’ottimismo

Ma tu sei ottimista o pessimista? Ogni discorso comincia o finisce con la domanda rituale e una professione di ottimismo e di pessimismo. Ogni evento o catastrofe, svolta o contagio, come l’ultimo coronavirus, induce a fare i conti col tasso di ottimismo e di pessimismo che circola nel mondo. Le sole ideologie rimaste in piedi sono il pessimismo e l’ottimismo, di solito appannaggio rispettivo delle culture antagoniste e d’opposizione, e delle culture protagoniste o di governo. Sono le ultime visioni del mondo, le ultime valutazioni globali per valutare il presente e prevedere l’avvenire, gli ultimi grandi racconti per interpretare la realtà e i suoi accadimenti. Il loro fondamento è fragile, a volte banale, tutt’altro che teoretico, di solito caratteriale, anzi peggio, umorale. Ottimismo e pessimismo, in realtà, non sono visioni del mondo ma stati mentali di chi guarda. Nel suo florilegio intitolato Prima persona, Giuseppe Pontiggia distingueva tra un orientamento umorale e uno funzionale: ci sono i pessimisti per carattere, cattiva digestione, senso tragico, e ci sono gli ottimisti per dovere d’ufficio o requisito di mestiere, come i pubblicitari, obbligati a mandare messaggi positivi. I politici sono pessimisti all’opposizione, ottimisti al governo. La vecchia sintesi gramsciana, pessimismo della ragione e ottimismo della volontà, dice ormai poco nell’epoca del bipolarismo e dell’alternanza psico-umorale.
Il pessimismo nasce in Francia nel 1759. Fu un illuminista disincantato, Mallet du Pan a coniare l’espressione, ma non è certo. C’è del pessimismo anche sulle origini del termine. Fa il suo ingresso ufficiale nell’Academie Francaise, nel 1835, dove viene accolto nel lessico accademico. Ci riferiamo all’espressione e non alla sostanza; di pessimisti ce n’erano già prima di Cristo, tra gli etruschi e gli egizi, fino ai pagani; il suo atto di nascita è in quel distico di Teognide secondo cui è un male già l’esser nati ed un bene morire più presto possibile. Dopo millenni di lamenti, solo nel secolo dei lumi fa la sua comparsa l’espressione pessimismo. L’ottimismo nasce un ventennio prima, e a denunciare la nascita del trovatello sono i gesuiti che nel 1737, in uno scritto apparso sulla rivista Memoires de Trevoux, lo identificano in Leibniz e nella sua teoria sul mondo attuale ritenuto il migliore dei mondi possibili. La prima volta che si usa la parola ottimismo è per criticarlo. Entrambi nascono nell’alveo del razionalismo. Il primo conflitto tra pessimisti e ottimisti è narrato in Voltaire in Candide ou l’optimisme, che ridicolizza la visione rosea della vita; dopo il terremoto di Lisbona lui vide il mondo abbandonato dalla Provvidenza. Ma vi fu chi viceversa ritenne che esistesse, come poi dirà Manzoni, anche la Provvida sventura, il male che produce il bene. Già due secoli fa nel Dizionario di Niccolò Tommaseo debuttano in Italia i vocaboli di ottimista e pessimista.
La coppia è diseguale. Si riconosce con qualche difficoltà uno statuto filosofico all’ottimismo, mentre ci si inchina devoti al pessimismo letterario e filosofico, dal romanticismo in poi: l’asse Leopardi-Schopenhauer ha fatto scuola, letteralmente. È a scuola, infatti, che il pessimismo fa il suo ingresso trionfale e petulante e si trasforma in maniera, o in una lagna tra il luttuoso e lo iettatorio. Invece, ricorda Pontiggia, nessuno come Leopardi ci ha dato un’immagine luminosa e dolce della felicità, del paesaggio, dell’amore, della giovinezza. Un po’ come notava De Sanctis, e poi sulla sua scia Gentile, che Leopardi maledice la vita ma te la fa desiderare. C’è una bella differenza tra il senso tragico dell’esistenza e il pessimismo, che ne è un cascame ideologico-moralistico, umorale e giaculatorio. Nietzsche, per esempio, era un pensatore tragico, ma ridente; tutt’altro che pessimista, era danzante e lieve, a tratti euforico, pur nella disperazione. Negli anni Venti assunse nobiltà il kulturpessimismus, corrente di pensiero che attraversò la mitteleuropea e si intrecciò alla letteratura della crisi. Tra loro fu Spengler, profeta piangente del Tramonto dell’occidente, e poi autore d’un breve saggio, Pessimismus? (riedito a mia cura da La scuola di Pitagora). Il suo pessimismo nasceva più dal carattere che dalla filosofia e lo sguardo alla civiltà, come dimostrano i suoi frammenti di diario, melanconici e pessimistici, editi da Adelphi (A me stesso).
La melanconia di solito accompagna il genio e gli animi sensibili; il pessimismo come l’ottimismo, attiene al regno artificioso della falsa coscienza. Non esiste un pessimismo o un ottimismo in assoluto, non abbiamo termini di paragone per giudicare la vità in sé e dire se sia un male o un bene in sé vivere o morire, non conoscendo il suo contrario. Invece abbiamo tanti e divergenti, termini di confronto nel paragone con le altre vite. Pessimismo e ottimismo dipendono più dall’osservatore che dalla realtà; sono impressioni soggettive e non esiti oggettivi.
Pur infondati, sono concreti invece i loro effetti; dalla borsa alla vita, dalla politica alla vita privata, pessimismo e ottimismo modificano le cose, producono effetti reali. Dovremmo essere di animo pessimista e di indole ottimista, lasciando che la contemplazione colga i frutti dell’amarezza, la privazione e il dolore e che l’azione viceversa raccolga i frutti della fortuna e il predisporsi al meglio. Andrè Malraux parlava di pessimismo attivo; non aspettarsi nulla di buono e pure impegnarsi come se tutto possa volgersi al meglio. Variante eroico-letteraria del precetto gramsciano. Agire con passione, pensare con disincanto. Mounier, all’opposto, prediligeva “l’ottimismo tragico”.
Ma tu sei ottimista o pessimista? Dipende da che ora, in che luogo, età, in relazione a cosa, in compagnia di chi, dopo aver visto o mangiato cosa. Ottimismo e pessimismo sono due binari che conducono a una stessa destinazione: l’imbecillità. La realtà è oltre l’ottimismo e il pessimismo.
MV, Il Borghese (aprile 2020)

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